lunedì 5 ottobre 2009

mac-quante ne so > stra-ordinary life


la prima a sospettare qualcosa è stata la maestra di mia figlia.
mi ha liquidato con un tenero: "adesso facciamo andare il papà, che avrà sicuramente da lavorare", ma voleva dire: "a me non mi freghi, bello".
effettivamente il mio comportamento ha dato un po' nell'occhio, ultimamente.
qui tutti mollano i bambini al volo, li catapultano letteralmente giù dai loro suv in doppia fila e li salutano da dietro i vetri oscurati, mentre probabilmente parlano già con l'ufficio o pianificano riunioni con i clienti.
io, invece, ho preso l'abitudine di camminare un po' con lei, mano nella mano, fino davanti a scuola. e di accompagnarla su, al primo piano, dove c'è la sua classe.
so già che tra qualche anno vorrà essere lasciata il più lontano possibile e arrivare a scuola senza il papà. diciamo che, per adesso, ho deciso di approfittare della sua disponibilità. al punto che temo risulti evidente come io la mattina non abbia alcuna fretta di andare via da questa scuola.
vivo una specie di caos calmo, mentre gli altri genitori sembrano ancora tarantolati dalla febbre del rientro e, dopo una lunga estate, tornano alla loro regular season 9 to 5.
anche per me una volta era così.
la mia vita era scandita dagli orari del mio ufficio, un edificio immenso, capace di inghiottire fiumi di badge che timbrano e stimbrano, un luogo da raggiungere come un pellegrinaggio quotidiano in cui il più difficile dei lavori non è lavorare ma recarsi al lavoro.
un traguardo da tagliare ogni mattina, l'ingresso in azienda, un non-luogo in cui restare a scaricare barili fino al sacro momento dell'orario di uscita, vero e proprio big-bang "del resto delle nostre vite": si torna dalle famiglie, si va in palestra, si fa la spesa, si bruciano stipendi nei modi più strani.

solo che adesso il mio ufficio non c'è più. continua qui

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