Ho contratto il Mal d’Africa. Quella acuta nostalgia di uno spazio - tempo diverso. Uno spazio enorme, ma ancora di più un tempo dilatato che ci contagia e ci libera almeno per un po' dallo stress dei nostri ritmi.
Come si può raccontare una esperienza indescrivibile? Forse solo attraverso una serie di flash, di cartoline che affiorano alla memoria e che, tornati alle nostre lande ed alla nostra fretta, più che vissute ci paiono sognate.
Intanto l’emozione di un viaggio iniziatico com’è il lento avvicinamento della nave e l’avvistare le coste dell’Africa. Con una forzata licenza poetica l’Africa inizia dove la strada si fa dritta, senza curve fino all’orizzonte. Una larga pista, asfaltata solo al centro, e i cui larghi bordi polverosi confinano con campi che da verdi vanno via via assumendo il colore ocra del deserto, e dove pini e ulivi lasciano a mano a mano il posto a alberelli tozzi prima e cespugli poi, fino ad farsi infine inghiottire dalla sabbia. Sotto gli occhi scorre una serie senza fine di emozioni che meriterebbero tutte di essere fotografate, ma siccome o si viaggia o si fotografa, non ci si può fermare ogni cinque minuti (specie dopo aver sorpassato un camion carico all’inverosimile o una corriera polverosa) e tante immagini restano affidate alla sola memoria. Come quella di due donne berbere vestire a colori sgargianti che cercano il riparo dell’ombra di un grando albero, o di tre donne in camice bianco (medici o che altro?) avvolte dal velo bianco.
A proposito di velo, va sottolineato che il sottile timore di viaggiare attraverso un paese islamico, con tutto ciò che ai nostri occhi di occidentali ciò ha preso a significare dal 11 settembre in avanti, viene meno non appena ci si rende conto di trovarsi non solo in un paese assolutamente laico, ma addirittura circondati da persone la cui ospitalità è pari solo alla gentilezza ed a quel genuino entusiasmo che noi abbiamo perduto da tempo. I tunisini ci stupiscono salutandoci mentre passiamo sulle nostre moto, fotografandoci con i cellulari, cedendoci regolarmente la precedenza sulle strade. I bambini ci salutano con grida d’entusiasmo davanti alle scuole, i giovani ci chiedono di fotografarsi sulle nostre moto al benzinaio, persino il più solitario dei pastori berberi alza una mano di saluto al nostro passaggio. Negli occhi delle persone che ci avvicinano alle nostre soste mi pare di scorgere quello stesso sguardo ottimista ed aperto delle foto dei nostri padri negli anni cinquanta e sessanta. Sono belli, anche: bellissimi i bambini, tanti e in qualche modo sempre diretti a piedi alla o dalla scuola - ci sono scuole in ogni paese, per quanto minuscolo e per quanto in mezzo al nulla. Belle le donne, più spesso con i capelli al vento che velate. Belli persino gli uomini. Ammirano le nostre moto, che qui sembrano ancora più grosse, e ci parlano delle squadre di calcio italiane con tanto trasporto che non me la sento di dire che delle squadre io non conosco neppure il nome. Quando mi fermo ai bordi della strada per avere bucato una gomma, un amico mi porta sul sellino posteriore della moto addirittura un gommista - e qui sono veri esperti di riparazione di pneumatici. La riparazione “a domicilio” non mi costerà più di cinque euro.
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