Antologia di Blog
supplemento della domenica
domenica 1 aprile 2012
Cose che ho fatto tra i 6 e i 13 anni (quando ero felice)
(della serie: i 50 anni si avvicinano velocemente e io non mi sento bene per un cazzo)
leggere Topolino, Zagor e Asterix. l'attesa per il nuovo prossimo numero.
guardare Zorro e i Forti di Forte Coraggio alla tv dei ragazzi alle 18 del pomeriggio, meglio se con merenda ma non ricordo che merenda era. probabilmente focaccia genovese, ovvio.
guardare i cartoni animati al sabato (un sabato i cartoni, l'altro sabato in alternativa le comiche) tornando da scuola a mezzogiorno circa mentre mangio pastasciutta col sugo rosso annegata nell'olio.
giocare con i soldatini dell'Airfix, specialmente quelli delle guerre napoleoniche, ma anche quelli della seconda guerra mondiale.
sognare una nuova scatola di soldatini (l'ultima comprata a 13 anni)
costruire plastici in plastilina di campi di battaglia, imbrattarsi fino al gomito di plastilina.
costruire modellini di aerei e carri armati Airfix, annusare l'odore dei barattolini di colore. anche della colla Vinavil. spaccare gli aeroplani costrutti da mio fratello per l'invidia che li faceva meglio dei miei (no, questa è una cosa brutta che mi duole dentro ancora oggi).
(di Paolo Vites. Continua a leggere su The Red River Shore)
martedì 17 gennaio 2012
Jam: L.A. Woman
"La vera rivoluzione nel modo di intendere il lavoro attuata dal tecnico del suono fu quella di lasciare che ogni membro della band, Jim compreso, si assumesse molte più responsabilità che in passato. Il fatto di aver allentato la presa sul cantante, che in principio sembrava poter essere il punto debole dell'operazione, si rivelò invece la chiave di volta dell'intero processo: Morrison non mutò assolutamente il suo stile di vita, né tanto meno rallentò il numero delle sbronze, ma si calò perfettamente nella parte, diventando immediatamente più assennato e cooperativo. A differenza di Rothchild, Botnick era convinto non servissero trentacinque take per ottenere un buon pezzo e che gli errori non fossero un ostacolo alla riuscita di un buon album, ma che contasse soltanto il feeling. Non insistette mai nel far fare più di un paio di versioni di un brano e non ci fu alcun bisogno di tirar fuori con la forza le parti vocali a Morrison, perché in pratica furono incise tutte dal vivo nei bagni dell'ufficio, per sfruttarne l'eco.
Un'altra differenza sostanziale con il recente passato riguardava l'utilizzo della tecnologia: era stata inventata da qualche tempo la registrazione a sedici piste, utilizzata infatti per l'album precedente, ma Botnick suggerì di registrare L.A. Woman sul vecchio otto piste utilizzato ai tempi di Strange Days. Siddons ricorda quell'aspetto con molta accuratezza: «Fu un disco molto viscerale. Fu una loro scelta precisa farlo così essenziale. The Soft Parade e le trentacinquesime take li avevano fatti disamorare della tecnologia». Per quanto all'epoca potesse sembrare folle fare un passo indietro da quel punto di vista, anche quella scelta si rivelò azzeccatissima: così facendo, solo il materiale di massima qualità venne messo su nastro, portando il risultato su vette che sembravano irraggiungibili solo fino a qualche settimana prima.
Col senno di poi, quel periodo parve a tutti un po' come la chiusura di un cerchio ideale: il loro ultimo disco in studio con Jim Morrison si rivelò grezzo e semplice come il primo, molto più distante nella mente dei protagonisti dei quattro anni che erano in realtà trascorsi dalla sua realizzazione. In effetti tutto questo processo di snellimento non solo giovò alla qualità dell'opera, ma permise alla band di registrare il tutto in pochissime settimane. In una delle sue ultime interviste, Morrison non nascose l'entusiasmo ritrovato: «Il primo album lo abbiamo realizzato in circa dieci giorni e poi ogni disco successivo ha richiesto sempre più tempo fino all'ultimo, per il quale ci sono voluti nove mesi. Per questo disco, siamo entrati in studio e abbiamo fatto una canzone al giorno. È stato incredibile. Forse anche perché siamo tornati alla strumentazione originale: solo noi quattro più un bassista. Abbiamo usato il bassista di Elvis...».
Luca Garrò. L'intero articolo su Jam On Line
mercoledì 4 gennaio 2012
Roots Highway > Smile
Nel 1965, dopo aver ascoltato, in preda a un rapimento quasi mistico, i Beatles di Rubber Soul, Brian Wilson, ingegnere e principale artefice delle canzoni dei Beach Boys, spense in fretta lo stereo, abbandonò il salotto e corse in cucina, dalla moglie Marylin (al suo fianco dal '64 al '79), gridando: "Marylin, farò il più grande dei dischi! Il più grande disco rock mai realizzato!". Ancora oggi, molti giornalisti sono convinti vi sia riuscito: nelle liste dei migliori album della storia Pet Sounds (1966) compare regolarmente sul podio e in effetti, a giudicare dallo strabiliante universo sonoro delle sue canzoni, ciascuna elaborata intrecciando un numero incalcolabile di dettagli, soluzioni innovative e tecniche di registrazione sperimentali, non c'è motivo di ritenere che Wilson abbia tradito gli esaltati propositi di quel dicembre di quarantasette anni fa. Eppure, nonostante l'unanime apprezzamento espresso da pubblico e critica, Wilson sentiva di potersi spingere oltre. Ispirato dalle droghe e dall'incontro con un giovane paroliere e compositore di nome Van Dyke Parks, Wilson, da estimatore dei lavori di Beatles, Bob Dylan e Byrds, decise di contraddire la vulgata che vedeva nei Beach Boys un gruppo disimpegnato e infantile, incapace di riflettere sugli enormi cambiamenti in atto nel proprio tempo, e di puntare verso un'architettura sonora ancor più impervia e stratificata. Il suo progetto, tuttavia, non andò mai in porto. Le sessions d'incisione del disco, che doveva intitolarsi "Dumb angel" e in fase di lavorazione divenne SMiLE, rappresentarono uno dei periodi più difficili nella vita dei Beach Boys, il momento in cui tutte le complesse relazioni affettive e familiari alla base dell'affiatamento del gruppo rischiarono di saltare. A precipitare fu senz'altro l'equilibrio psichico di Wilson: dopo uno stadio iniziale di idillio creativo in compagnia di Parks, con i due intenti a elaborare testi e melodie al pianoforte, i piedi immersi in cassette di sabbia per ricreare la sensazione di trovarsi su una spiaggia, i contrasti con gli altri Beach Boys, le pressioni della casa discografica, le bizzarrie assortite (arrivò addirittura, spaventato dalla lontanissima eventualità di un incendio nel quartiere, a far indossare agli orchestrali elmetti da pompiere), gli interminabili rimaneggiamenti dei brani (suonati e risuonati per centinaia di ore, spesso modificandone sfumature impercettibili) e i costi ormai fuori controllo convinsero Wilson, nel maggio del 1967, ad abbandonare il progetto.
(Gianfranco Callieri - continua su Roots Highway)
lunedì 18 luglio 2011
Route 61 > l'ultimo concerto di Big Man
Diretto a Buffalo, con un volo trovato all'ultimo momento, costretto a interminabili attese negli aeroporti di Amsterdam e Cleveland, non pensavo certo di essere in viaggio verso il mio ultimo concerto di Bruce Springsteen & the E Street Band, men che meno verso l'ultima esibizione pubblica, in tour, di Clarence Clemons accanto a Bruce Springsteen. L'ultimo di duecento concerti visti (200 o giù di lì, adesso mi toccherà davvero contarli, sono un bel pezzo di storia) dei miei performer preferiti riveste oggi un'importanza enorme nel mio piccolo archivio, nella mia memoria rock'n'roll carica di un numero inestimabile di ricordi.
Il gelo che mi avvolgeva mentre in quel 22 novembre del 2009 raggiungevo la mia stanza d'hotel in Delaware Avenue, è lo stesso che mi assale ora alla notizia della morte di Big Man, Clarence Clemons. Devo a lui, anche a lui, una vita all'inseguimento della musica che ho amato e che sempre amerò. Devo a lui la scoperta dei dischi di Junior Walker, uno dei sassofonisti della Tamla Motown che lo hanno influenzato. Devo a lui quella gioia che ti si aggrappa alle spalle e non ti lascia più quando partono le note felici e potenti del suo sax nel repertorio più brillante ed energico di Bruce Springsteen. E devo a lui anche quella ritemprante mistura di malinconia e speranza che ti si insinua nella pancia quando a suonare sono quelle lunghe, dense melodie a tutto fiato che rendono Jungleland e Drive All Night canzoni con cui struggersi, piangere, sperare, reagire, gioire, vivere.
Quella sera, alla HSBC Arena sistemata a ridosso della Buffalo Skyway, non è andato in scena un concerto come tanti della E Street Band. Quella sera è successo qualcosa di speciale, come è giusto che sia nelle date che il Dio del Rock'n'Roll decide di vergare con un tratto diverso sul grande calendario della musica. Quella sera c'era in sala Mike Appel, l'uomo che battendosi con ogni sua energia era riuscito a fare incidere Springsteen per la Columbia e gli aveva prodotto i primi due album prima di lasciare il passo al più scaltro e cinico Landau e all'album Born To Run (non prima di aver lasciato in dote la canzone Born To Run, da lui costruita in studio insieme a Bruce quando pareva che un terzo disco fosse un lusso per il giovane Springsteen). Quella sera c'era un bel concentrato dei fan del Boss, anche perchè era l'ultima data del tour di Working On A Dream, la classica occasione in cui ci si saluta e domani chissà. Appunto, domani chissà.
(prosegue su Route 61, il blog di Ermanno Labianca)
domenica 12 giugno 2011
Torno ai vinili > La banda dei brocchi
Nino capì fin dal primo momento,
l'allenatore sembrava contento
e allora mise il cuore dentro alle scarpe
e corse più veloce del vento.
Prese un pallone che sembrava stregato,
accanto al piede rimaneva incollato,
entrò nell'area, tirò senza guardare
ed il portiere lo fece passare.
Come altro vuoi chiamarli? Coglioni? Si, ci può stare, ma banda dei brocchi veste meglio questa squadra di imbroglioni. D'altra parte se uno come don luciano se ne sta ancora in televisione a sparare puttanate, cosa ci si può aspettare dal mondo del pallone truccato?
Che il calcio fosse il prato felice di una certa malavita era cosa nota. Ma che il fenomeno avesse assunto questa proporzioni e questa baldanza da impuniti, non lo avrei mai detto. Etticredo che poi qualcuno vuole impedire le intercettazioni. Così, mentre Vieri mena Corona, Totti tace, (grazie) Signori canta e Buffon parla come pensa, lo sport muore. Noi da ragazzini si giocava nel fango, ma era un altro fango. Ma a questi figli cosa cazzo stiamo lasciando?
domenica 17 aprile 2011
Personalità confusa > Lettera aperta ai marziani
Volevo lanciare un appello ai marziani: amici celesti, è inutile che vi nascondiate, sappiamo che spesso vi capita di visitare il nostro pianeta. Vi abbiamo visto. Lo si legge sui libri, lo testimonia la televisione. ci sono fotografie e filmati che lo documentano, sfortunatamente quasi tutti assai sfocati, ma deve essere una coincidenza.
Però voi anziché manifestarvi a noi preferite stare lassù a mezz'aria, a osservarci dalle vostre astronavi. Al limite, sequestrate uno di noi per qualche ora, ci rapite con quei magici raggi fosforescenti (un prodigio, complimenti) che come ascensori trasferiscono le persone sino ai vostri aviogetti; là dentro ci sottoponete a brevi visite mediche e poi ci riportate a terra: di solito non ricordiamo quasi nulla, manco possiamo raccontare per bene come siete.
Amici marziani, lo avete capito: qui da sempre si parla parecchio di voi. Molti si interrogano sulla vostra esistenza. Altri ne sono certi ma si domandano da dove veniate. Alcuni si chiedono come possiate essere tanto più evoluti di noi. Pensate, noi poveretti abbiamo faticato parecchio soltanto per arrivare alla Luna, che sta qua dietro, a due passi, la si vede persino dalle finestre ma da decenni non riusciamo neppure a tornarci. Si tratta di un viaggio troppo lungo e costoso, pare. Voialtri invece giungete da lontanissimo, con comodo. Eppure non vi fermate mai. Ora io volevo dirvi: ma cosa cazzo venite a fare se manco scendete? Tutta quella strada per niente? Non ce l'avete un pochino di curiosità? O siete scemi?
(continua su Personalità confusa)
domenica 6 marzo 2011
Antologia dell'Amore
“La parola più equivocata di tutto il vocabolario è di certo “amore”. La usa l’innamorato per esprimere il suo sentimento alla compagna (compagno), per significarle che le vuole donare cose belle: la felicità e tutto se stesso. Ma non è vero: l’innamorato non vuole dare niente, quello che vuole è in realtà ricevere. Vuole ricevere amore, fedeltà, passione, sesso... vuole ricevere le attenzioni dell’altro, il respiro dell’altro fino a possederlo in esclusiva.
Se non riceve tutte in continuazione queste cose, o se crede di non riceverle, quello che l’innamorato effettivamente da è rabbia, litigi, frustrazione, lacrime, gelosia…”
(continua su La Parola Amore)
“Gli amici con l’amante li riconosci subito. All’inizio sembra abbia bevuto un calice alla fonte dell’eterna giovinezza. Sono energici, galvanizzati, effervescenti, abbronzati, si comprano camicie alla moda, scarpe che costano mezzo stipendio, se possono un’auto sportiva. Sono ammiccanti, ti guardano come se avessero capito il senso della vita, si lasciano andare a lezioni magistrali sul sesso”.
(continua su L’Amante)
“Trovare la persona che ci ricambi, quella che ci fa battere il cuore ed il cui cuore batte per noi, è lungo, difficile e ad alcuni non riesce mai. Perciò una volta trovato l’amore dovremmo mostrarcene grati tanto al cielo quanto al partner, ma quasi sempre non è così. Esauriti i giorni della luna di miele, della passione bruciante, dell’innamoramento, quelli in cui la voce e la vista dell’amato ci fanno sussultare, quei giorni quando non smetteremmo mai di baciarci, la relazione prende la via più tranquilla e solida dell’amore stabile e quotidiano.
È qui che entra in gioco l’infedeltà”.
(continua su l’Infedele)
“Non sarebbe bello essere l’amante di propria moglie? A dispetto di tutto ciò che, nelle umane stagioni dell’amore, congiura contro questa possibilità? Da adolescenti sperimentiamo il sesso ed i sentimenti. Da giovani adulti conosciamo il Primo Amore (quello che non si dimentica più) ed il Grande Amore. Infine facciamo la conoscenza di nostra moglie (o, naturalmente, di nostro marito). Matrimonio, figli, quotidianità, vacanze al mare ed ai monti, automobile familiare, il lavoro, il mutuo, cose anche apprezzabilissime ma che declinano male con la passione e l’innamoramento. Non a caso uno scrittore italiano di successo una ventina d’anni fa distingueva con decisione l’Innamoramento dall’Amore. Dei due l’Amore è più importante, più nobile, più completo, più duraturo, più grande. Però, diciamocelo, l’Innamoramento è più divertente”.
(continua su L’Amante di propria Moglie)
Su Blue Motel per il mese degli innamorati l’Antologia dell’Amore…
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