Il primo ricordo della mia vita è facilmente databile: mi trovavo seduto sul tavolo del salotto mentre mia madre cercava di farmi indossare calze e scarpe. Alla mia sinistra il televisore sta trasmettendo le olimpiadi. Lo so perché gliel'ho chiesto: cosa sono queste, mamma? Risposta: le olimpiadi. Dunque: olimpiadi di Tokio, 1964. Ciò significa che praticamente quasi tutta la prima metà degli anni sessanta, per quanto mi riguarda, è andata sprecata. O meglio: è finita in quell'immenso accumulatore rappresentato dall'infanzia smemorata, i primi anni della nostra vita di cui non ricordiamo niente ma che pure così importanti risultano per la nostra formazione individuale. Traumi, talenti, risorse e punti deboli traggono origine da quei quattro o cinque anni di cui sappiamo solo quel che ci raccontano nonni e genitori. Appurato questo, non è che invece della seconda metà degli anni sessanta, io riesca a ricordare molto di più. Per dire: quando mi sono accorto dei Beatles già non esistevano più. Dissolti, puf, in uno sbuffo di allucinogeni. Quel fatidico decennio, per quanto mi riguarda, è più Popoff e Quarantaquattro gatti che Help e Ticket to Ride. Per dire: arriva prima Gianni Moranti a citarli (Help e Ticket to ride, appunto, e Lady Jane, e Yesterday) che loro a farsi presenti in prima persona. Almeno al sottoscritto, arriveranno con tutto comodo, addirittura nei primi anni settanta, attraverso l'interessamento di una fanciulla più aggiornata, di quelle che ti costringono ad aggiornarti a tua volta. E apprendere, per esempio, che Lady Jane, malgrado il titolo e l'andamento beatlesiani, non era affatto una canzone dei Beatles. Se fosse dipeso da me, avrei rinviato la consapevolezza, e sarei rimasto ancora un bel pezzo a collezionare bisvalide e trisvalide. Quel che segue è un elenco incompleto di altre cose che per quanto mi riguarda contavano di gran lunga più dei Beatles, che al momento non contavano affatto:
- Respirare l'odore dei calzoni fritti di Alagna, a Valdesi.
- Non perdere nemmeno una lezione del pittore Buendia, a Giocagiò.
- Giocare con il pupazzo Amico Jackson. (Imitazione di Big Jim, ma più piccolo, fabbricato dalla ditta Baravelli. La confezione base prevedeva tuta blu e scarponi neri, ma era disponibile anche la versione da alta montagna, con tuta da neve, sci e racchette).
- Mangiare ogni giorno almeno un ascaretto pralinato Moreno dell'Eldorado, la cui pubblicità televisiva era un cartone animato di Cocco Bill.
- Convincere i miei genitori a comprarmi ogni anno un nuovo astuccio sagomato di forma ameboidale, per contenere penne e matite. Quelli di marca Regis erano: Provolino, BC, Tarzan, Zorro, Pinocchio, Walt Disney e Motocross.
- Possedere una pista Polistil con relative macchinette Policar, pubblicizzate su Topolino da Paola Pitagora ("Capita a chi Policar").
- Convincere gli amici a sostituire le biglie di plastica per le competizioni ciclistiche da spiaggia con quelle sfere misteriose e perfette che si trovavano sulla sabbia, fatte di poseidonia seccata.
- Tornare a casa la domenica pomeriggio in tempo per vedere il Braccobaldo Show ("Ci siete tutti? Siamo tutti qui, e tutti insieme vogliam vedere Braccobaldo Show!)
- Evitare i Calendarietti che a partire da ottobre regalavano i barbieri: avevano un cordoncino rosso tutto elegante, ma facevano venire il mal di testa da quanto erano profumati.
- Giocare coi chiodini marca Coloredo, con relative lavagnette di diverse misure. Sulle lavagnette si mettevano i piolini multicolori in modo da formare le figure che poi si potevano smantellare per ricominciare daccapo.
- Aggiudicarmi una Cicocca, casetta di cartone in regalo coi punti del Brioss Ferrero. Testimonial: Sandro Mazzola.
- Evitare che il Corriere dei Piccoli, tramite referendum fra i lettori si trasformasse in Corriere dei Ragazzi. Cosa che puntualmente avvenne.
- Non perdere neppure un numero delle Fiabe Sonore: 45 giri più opuscolo illustrato, lire 480. ("A mille ce n'è / nel mio cuore di fiabe da narrar…).
- Non andare a scuola, rimanere in casa la mattina degli ultimi giorni di maggio, quando c'era la Fiera del Mediterraneo: in quel periodo, e solo per la zona di Palermo, trasmettevano dei film che cominciavano alle 10 di mattina.
- Restare sveglio abbastanza per vedere Giochi senza Frontiere.
- Collezionare le medaglie Volistoria Shell. Facendo benzina regalavano ogni volta una moneta commemorativa della storia dell'aviazione. Dai fratelli Wright all'Apollo 11. Bisognava riporle nei fori di un raccoglitore color amaranto, ma se riuscivi a farcele entrare, rimanevano incastrate e non venivano più via.
- Raccogliere il maggior numero possibile di paracadutini pubblicitari Galbani lanciati la domenica pomeriggio sulla spiaggia da un aereo che passava e ripassava trascinando uno striscione.
- Trovare con ogni mezzo i mattoncini lunghi della Plastic City, di gran lunga migliori di quelli della Lego, almeno per costruire la canna delle pistoline finte. - Collezionare i pupazzetti adesivi sagomati che si trovavano nelle confezioni da quattro del formaggino Mio.
- Riuscire a fare prima o poi una rovesciata perfettissma come quella di Tanino Troja contro il Genoa.
- Ricordarmi ogni volta se Salgari si dice Sàlgari o Salgàri.
- Comprare di nascosto gli occhiali a raggi x per vedere attraverso i muri e le gonne femminili. La ditta Same li pubblicizzava sulle pagine dell'Intrepido. Anche la crema per sviluppare i muscoli non era male.
- Riuscire a far funzionare il razzetto Superbum, quello rosso, che si lanciava e ricadeva sulla punta. Toccando terra avrebbe dovuto fare il botto, ma non succedeva quasi mai.
- Distinguere Lina Volonghi da Anna Campori, interprete di Giovanna, la nonna del Corsaro Nero.
- Possedere una trottola Wizzler, avveniristica, per metà trasparente e per metà colorata, in grado di rimanere in equilibrio sugli spigoli o su un filo. Si lanciava mediante sfregamento consecutivo della punta di gomma.
- Infine, last but not least:
- Convincere Sylvie Vartan a lasciare Johnny Halliday per mettersi con me.
Questa incompleta lista di priorità lascia intuire come e quanto - sospetto: non solo per il sottoscritto - gli anni sessanta rappresentino una riserva di energia, una pila atomica a lunga persistenza, che continuerà a produrre energia ancora per chissà quanto tempo. Quel periodo è una nebulosa infantile, fitta di suggestioni da scongelare e consumare con calma, nell'arco di tutta l'adolescenza, e anche oltre. I Beatles, assieme a quell'intero decennio, somigliano a stelle che anche dopo essere esplose e scomparse, continuano ad emanare luce per milioni di anni. Quelle già da un pezzo hanno smesso di esistere, e noi ancora stiamo a guardarle in preda a una grande densità di pensiero.